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Channel: fontanavecchia – Stralci di vite
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Vigna Cataratte Riserva 2001, Azienda Agricola Fontanavecchia, Aglianico del Taburno D.O.C.

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Un grande vino – millesimo 2001 – che ho già raccontato sul sito di Luciano Pignataro (vai), che ringrazio per la ospitalità. Nell’articolo, anche la sua scheda di assaggio del 24 luglio 2007.
“Ho contemplato questa bottiglia per 5 lunghi anni; sino ad oggi (19 marzo 2009, Festa di San Giuseppe), costretto ad invocarla al cospetto dei cicatielli al ragù di carne e dello stracotto di vitello sapientemente cucinati da mia madre.
Un nobile rosso da uve aglianico attentamente selezionate, provenienti dai vigneti della famiglia Rillo situati nel territorio del Comune di Torrecuso, zona particolarmente vocata per la coltivazione dell’antico vitigno ellenico.
Intenso rosso rubino con riflessi granati, limpido; di notevole consistenza.
Naso intenso e complesso; che eleganza! Impatto iniziale di profumi floreali e fruttati: soprattutto confettura di prugne e di more. Poi, note di cacao e cuoio, sentori di liquirizia. Lo sorseggio: è secco e caldo. Tannico, eccome se lo è! Ma un tannino ben levigato, vellutato. Morbido ma ancora abbastanza fresco e sapido. Equilibrato, intenso. Strepitosa la persistenza aromatica, ottima rispondenza gusto-olfattiva: confettura di prugna e cacao. Avvolgente. Fine e armonico.
Un vino robusto, destinato ad un ancor più lungo invecchiamento”.

Fontanavecchia: i vini del Sannio

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L’attivissima delegazione di Mantova organizza per le ore 20.15 di oggi 12 giugno, al ristorante Edelweiss di Castel d’Ario (MN), una grande serata all’insegna dei vini e dei prodotti tipici del Sannio.
In degustazione, i prodotti di una delle più affermate realtà del beneventano, l’azienda agricola Fontanavecchia di Libero Rillo (nella foto): Spumante brut Nudo Eroico, Falanghina del Beneventano, Facetus, Fiano, Spumante rosè, Sannio Piedirosso, Aglianico del Taburno, Vigna Cataratte Riserva (ne ho parlato qui) e Grave Mora.
E ancora, la cultura di un territorio e dei suoi prodotti tipici: pane e olio di Torrecuso, mozzarella di Bufala campana DOP, Pecorino del Taburno, salame e prosciutto crudo di maiale selvatico, arrosto di maiale alle spezie ed erbe aromatiche, dolci secchi.
Costo € 35
tel. 0376/448998

Vinestate 2009

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Rilancio integralmente il comunicato stampa:
Trentacinquesimo appuntamento per VinEstate, la festa dedicata all’Aglianico del Taburno in programma il 4, 5 e 6 settembre prossimi a Torrecuso (Benevento).
La rassegna, fra le più attese nel panorama delle manifestazioni enologiche campane, è tesa alla scoperta di prodotti che mettono in primo piano la cultura del vino e del territorio del Taburno, dove l’Aglianico trova la sua massima espressione.
VinEstate è organizzata dal comitato VinEstate, in collaborazione con il comune di Torrecuso ed il patrocinio di: Provincia di Benevento, Camera di Commercio di Benevento, l’Associazione Aglianico del Taburno, l’Associazione culturale Taburno – Camposauro, l’Università degli Studi del Sannio, Regione Campania, Pro Loco di Torrecuso, l’Associazione O.T.E.T. e la Scuola del Gusto.
Venti le aziende vitivinicole in vetrina: Cantina del Taburno, Cantine Iannella Antonio, Cantine Tora, Caputalbus, Cav. Mennato Falluto, Fattoria La Rivolta, Fontanavecchia, I Colli del Sannio, Il Poggio, “La Dormiente” di Ariano Agnese, Masseria Frattasi, Nifo Sarrapochiello, Ocone – Agricola Del Monte, Ocone Giovanni, Taburni Domus, Terre d’ Aglianico, Terre Longobarde, Torre a Oriente, Torre dei Chiusi e Torre del Pagus.
Per la tre giorni è stato varato un fitto programma che prevede: mercato, convegni e laboratori sensoriali.
L’apertura degli stand espositivi e di degustazione, per tutte e tre le serate, è fissata alle ore 18.
Sabato 5 settembre, alle ore 20,30, si terrà l’Asta dei Vini, condotta da Marco Sabellico; mentre, domenica dalle ore 9 alle 13, sarà allestito il Mercato del Taburno, che riguarderà il vino e la cultura delle comunità del Taburno.
Due, invece, i momenti di approfondimento. Sabato 5, alle ore 19, toccherà al talk show dal tema “In salute con il vino e con la vite”, con gli interventi di: Marco Sabellico, Marco Palma, Rino Genovese, Livia Iaccarino, Giovanni Antonio Cutillo, Rosanna Cancellieri, Gerardo Antelmo, Nunzia De Girolamo e Sandra Lonardo Mastella.
Domenica 6, alle ore 10,30, invece, i fari saranno puntati su “Vino e modelli di consumo responsabili e consapevoli: vietato vietare”, con le relazioni di: Luciano Pignataro, Giuseppe Marotta, Alberto Bertelli, Giovanni Antonio Cutillo, Nicola Formichella, Francesco Massaro, Gennaro Masiello e Ettore Varricchio; l’incontro sarà coordinato da Federica De Vizia.
Per quanto concerne i laboratori sensoriali si partirà venerdì 4 alle ore 19 con “Paglierino&dorato”, in collaborazione con FISAR Benevento; mentre, sabato 5, alla stessa ora, toccherà a “Rubino&granato”, in collaborazione con AIS Benevento. Entrambe le iniziative rappresenteranno un viaggio attraverso i colori, i profumi e i sapori dei vini del Taburno.
Domenica 6, infine, alle ore 19, sarà la volta di “Rosso&rossa”, in collaborazione con Slow Food Taburno e il Tasso del Taburno, per un abbinamento che vede protagonisti i rosso dell’Aglianico e la carne rossa di razza marchigiana.
Completano il cartellone gli appuntamenti a tavola, alla scoperta della cucina locale in collaborazione con l’associazione O.T.E.T. (Operatori del turismo enogastronomico di Torrecuso) ed il Master Aglianico del Taburno, competizione sensoriale dei vini Aglianico in programma a novembre prossimo e riservata ai professionisti del settore.
Altre informazioni possono essere acquisite dal sito internet http://www.comune.torrecuso.bn.it, oppure telefonando allo 0824/889719.

“2001”, Beneventano I.G.T., Fontanavecchia

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Un’etichetta molto particolare: il nome è un numero, il numero è un anno, il vino è un bianco, però si comporta quasi fosse un rosso.
Una scommessa vinta, quella di Libero Rillo… Una sorpresa, per chi nella falanghina non ci ha creduto e continua a non crederci.
Che non sia forse giunto il momento di cambiare rotta?!?
Ne ho parlato qui, sul sito di Luciano Pignataro, che ringrazio per la disponibilità.

Storie di un’annata ai piedi del Taburno: l’aglianico del millesimo 2001

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Siamo qui a parlarne e già questa è una vittoria.

Ce lo siamo detti a cose fatte, al termine di una giornata trascorsa insieme, ospiti di Giuseppe in quel di Torrecuso, dopo qualche tempo che non ci si vedeva. Un’occasione nata fondamentalmente per gioco e per piacere; chi, invece, ha fatto sul serio è stata Teresa: il pranzetto preparatoci era sontuoso.

Le bottiglie di aglianico del taburno

Che poi sul tavolo siano finite bottiglie delle più disparate provenienze, quello è un altro discorso e ci può comunque stare. L’obiettivo più o meno dichiarato era uno: vedere che effetto fa il tempo sull’aglianico, valutando lo stato di forma di 4 aglianico. Del Taburno, mica altro.

Quelli scelti da Giuseppe erano 4 vini “base” prodotti da altrettante aziende del territorio. Il risultato, come accennavo all’inizio, è stato sorprendente e ha dimostrato una volta di più, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, che l’aglianico del taburno è vino scontroso ma allo stesso tempo generoso, ruvido sulle prime ma via via più “educato”, impavido e sfrontato.

Sia chiaro: nessuna presunzione di averci capito qualcosa. Un’annata come la 2001, pur già lodata dalla critica come una delle migliori degli ultimi tempi, non può riassumersi in quattro bocce.
Aglianico del Taburno 2001, Il Poggio

Aglianico del Taburno 2001, Il Poggio 

Il colore ha tutto sommato retto anche se nel calice non è proprio pulitissimo. L’impatto olfattivo è potente ma manca un po’ di eleganza. Si avvertono sensazioni di prugna cotta e di frutta decisamente matura, a tratti troppo, una speziatura di radice di liquirizia e l’aroma inconfondibile dei chicchi di caffè. Al palato, ti accorgi subito che l’acidità è ridotta all’osso e ti ritrovi sensazioni poco definite e di una certa stanchezza. Anche per questo, saresti propenso per l’idea di un vino che ha fatto il suo tempo, giunto – ormai – al di là delle sue reali potenzialità evolutive.

Aglianico del Taburno “Fidelis” 2001, Cantina del Taburno

Aglianico del Taburno “Fidelis” 2001, Cantina del Taburno

Non un grandissima intensità al naso ma, comunque, una sensazione generale di maggiore freschezza rispetto alla precedente etichetta. Lo suggerisce già il colore rubino, di buona trasparenza. Il bouquet di profumi non ha chissà quale complessità ma si propone con fare elegante: prima la frutta (prugna e ciliegia), poi le spezie e il caffè, con quest’ultimo che rimane il protagonista del finale di bocca. Il sorso è piuttosto morbido anche per l’assottigliarsi della freschezza; la discreta salinità gli conferisce una buona piacevolezza. Il tannino è soffice: tanto morbido che alla cieca quasi non penseresti a un aglianico in purezza (come è dichiarato, invece, sulla retro-etichetta), proprio per la poca esuberanza dei tannini che è un po’ il marchio a fuoco dei vini ottenuti da queste uve.
Aglianico del Taburno 2001, Fontanavecchia

Aglianico del Taburno 2001, Fontanavecchia

Se il buongiorno si vede dal mattino, dicono. Ecco, qui il buongiorno si vede dal colore: rubino, luminoso, godurioso; e in più, nel calice è perfettamente pulito. Le aspettative di un vino straordinariamente integro diventano ben presto realtà. Al naso ha grande eleganza, profuma di prugne e more di rovo, di sottobosco bagnato, di caffè. Le sensazioni saline che si percepiscono già all’olfatto ricompaiono in bocca, dove si concede con grande naturalezza, complice il buon bagaglio di freschezza che gli consentirà, credo, di sfidare il tempo ancora per un po’. Chiude lungo in bocca sui piccoli frutti neri, con una chiara impronta terrosa, una nota balsamica di eucalipto e aromi di bacche di ginepro.
Aglianico del Taburno 2001, Fattoria La Rivolta

Aglianico del Taburno 2001, Fattoria La Rivolta

Già a scrutare il colore, leggermente più opaco del precedente e virato verso le tonalità del granato, ci si aspetterebbe una maggiore evoluzione dei profumi e della beva. Cosa di cui, in effetti, trovi conferma poco dopo. Al naso, una leggera puzzettina si insinua ancor prima della nota alcolica; con il tempo si assesta, anche se non del tutto, mostrando una bella complessità di profumi: confettura di frutta e prugna cotta, radice di liquirizia, tartufo e caffè. In bocca sembra essere leggermente ridotto; l’alcool c’è e si sente, il sorso è pieno e non smentisce il quadro delle sensazioni olfattive. L’impressione è che sia più “avanti” al naso di quanto non lo sia in bocca. Soprattutto, è il vino più ostico della batteria.

Starete pensando: che fine ha fatto il quinto vino che si vede nella foto? Era una riserva, inutile parlarne adesso, ma ve lo racconterò presto.

La (fine della) stagione delle guide: Sannio e Campania sotto la lente d’ingrandimento

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Quella che si chiude oggi – con la degustazione dei vini quotidiani e delle monete di Slowine a Milano – è la stagione delle guide. La più intensa delle stagioni del vino: due mesi o poco più di rumors, indiscrezioni, chiacchiere, anteprime e premiazioni. A conti fatti, un vero e proprio toccasana per le stesse guide che ne escono puntualmente rafforzate in fatto di attrattiva, seguito e credibilità. Con buona pace di chi, ogni anno e altrettanto puntualmente, si affanna a decretarne la morte.

Chiacchiere, del prima e del dopo. Perché il premio a Tizio o a Caio, perché a questa azienda sì e a questa no, perché a questo vino e non a quell’altro. Produttori incazzati, appassionati indignati per i soliti premi ai soliti noti. Niente di nuovo o quasi, insomma. Che poi, per fortuna, non è sempre così.

Se ne parlo su queste paginette è perché, semplicemente, mi interessa vedere come si sono comportati il Sannio e, più in generale, la Campania.

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L’Espresso

Nessuna eccellenza per il Sannio.

5 rossi e 4 bianchi per una regione che i più considerano bianchista. Tra i bianchi, appunto, 2 Greco di Tufo (quello “base” di Pietracupa e la selezione “Tornante” di Vadiaperti, entrambi millesimo 2010) e 2 Fiano di Avellino (sempre millesimo 2010, ancora Pietracupa e la “novità” Sarno 1860). Tra i rossi, spazio al “Sabbie di Sopra il Bosco” 2009 di Nanni Cope’, al “Nude” 2005 di Cantina Giardino, al Falerno del Massico Rosso Riserva “Tuoro” 2008 di Volpara e -in chiusura- 2 Taurasi: la Riserva “Radici” 2005 di Mastroberardino e il “Nero nè” 2006 de Il Cancelliere.

Gambero Rosso

Un 3 bicchieri nel Sannio: la Riserva di Aglianico del Taburno “Terra di Rivolta” 2008 di Fattoria La Rivolta.

In Campania, si aggiudicano il massimo riconoscimento 9 bianchi e 8 rossi. Tra i bianchi: 3 Greco di Tufo (Pietracupa, Benito Ferrara con il “Vigna Cicogna” 2010 e Feudi San Gregorio con il Cutizzi”), 5 Fiano di Avellino (i 2009 di Marsella e Quintodecimo, i 2010 di Colli di Lapio, Rocca del Principe e “Alimata” di Villa Raiano), 1l Costa d’Amalfi Furore Bianco 2010 di Marisa Cuomo. Tra i rossi, invece, supremazia dei Taurasi (il “Radici” 2007 di Mastroberardino, il “Poliphemo” 2007 di Tecce, il 2007 di Urciolo e il 2005 di Antico Borgo), i 2 “mostri sacri” (?) Montevetrano e Terra di Lavoro e Nanni Cope’ con il “Sabbie di Sopra il Bosco” 2009.

Duemilavini

L’unico 5 grappoli del Sannio se lo aggiudica sempre la Riserva di Aglianico del Taburno “Terra di Rivolta” 2008 di Fattoria La Rivolta.

Dei complessivi 22 premi, 13 vanno a vini rossi. Tra i bianchi, ben 5 Greco di Tufo (il “base” 2010 di Pietracupa, il “Contrada Marotta” 2010 di Villa Raiano, il “Decimo Sesto” 2009 di Cantina Dei Monaci, il “Raone” 2010 di Torricino e il “Terrantica” Etichetta Bianca 2010 de I Favati); poi, il Kratos 2010 di Maffini, il Costa d’Amalfi Furore Bianco di Marisa Cuomo e 2 Fiano di Avellino (il “Vigna della Congregazione” 2009 di Villa Diamante e “Aipierti” 2010 di Vadiaperti). Tra i rossi5 Taurasi (il 2007 di Feudi Di San Gregorio, il “Naturalis Historia” 2006 e la Riserva “Radici” 2005 di Mastroberardino, la Riserva “Primum” 2006 di Guastaferro e il “Vigna Macchia Dei Goti” 2008 di Antonio Caggiano), 2 Falerno del Massico (il “Camarato” 2006 di Villa Matilde
 e l’ “Etichetta Bronzo” 2008 di Masseria Felicia), l’Aglianico del Vulture 2008 di Feudi San Gregorio (ma perché non in Basilicata?), i costosetti Montevetrano e Terra di Lavoro millesimo 2009, Nanni Cope’ col “Sabbie di Sopra Il Bosco” 2009 e il “Vignapiancastelli” 2008 di Terre Del Principe.

Slowine

Nessuno dei grandi vini arriva dal Sannio.

Finisce in parità tra bianchi e rossi. Tra i primi: il Fiano di Avellino 2010 di Pietracupa e l’ “Alimata” 2010 di Villa Raiano; quindi, un tris di Greco di Tufo (il “Vigna Cicogna” di Benito Ferrara, il “Terrantica” de I Favati e, ancora, quello di Pietracupa, tutti millesimo 2010). Tra i rossi, a parte il Montevetrano 2009, 4 Taurasi: il 2007 di Antico Castello, l’ “Opera Mia” 2007 di Tenuta Cavalier Pepe, il “Vigna Andrea” 2007 di Colli di Lapio e il “Naturalis Historia” 2006 di Mastroberardino.

Concludendo.

Sugli scudi il Greco di Tufo 2010 di Pietracupa che riesce nella non facile impresa di mettere d’accordo un po’ tutti (rispetto, si capisce, alle 4 guide che ho preso in considerazione io). Complimenti al bravo Sabino Loffredo.

Bene il Sannio, anche grazie ai 3 bicchieri e ai 5 grappoli ottenuti dall’Aglianico del Taburno Riserva “Terra di Rivolta” 2008 di Fattoria La Rivolta (complimenti a Paolo Cotroneo). Un’iniezione di fiducia per un territorio, il “mio”, che ha ancora ampi margini di crescita. Non solo. Guardando sempre alla guida SlowineAntica Masseria Venditti si aggiudica la chiocciola Slow Food e il premio vino slow con il suo Sannio Aglianico Marraioli 2008; nella categoria vini quotidiani troviamo I Pentri con il Sannio Aglianico 2009Aia dei Colombi con la Falanghina Guardiolo 2010, Cautiero con il Sannio Aglianico Fois 2009 e Fontanavecchia con il Sannio Greco 2010; tra le monete, infine, ancora Fontanavecchia e Aia dei Colombi.

[foto, vecchiotta, tratta da www.tipicamente.it]

A cena a Villa Pastenella con Slow Food e i vignaioli del Taburno

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Sabato sera sono stato a Villa Pastenella, ospite di Tiziana e Renato nella loro agri-osteria per una cena a kilometro zero (nel vero senso della parola).

S’è mangiato benone in un posto bello e interamente eco-compatibile, immerso nella campagna di Tocco Caudio, ai piedi del borgo storico. Protagoniste le materie prime del territorio: la patata interrata, la salsiccia rossa di Castelpoto e il vitellone bianco dell’Appennino Centrale dell’azienda agrituristica Il Tasso del Taburno.

C’era Gaetano Palumbo, fiduciario della condotta Slow Food Taburno, a parlare della patata interrata e di un’usanza tanto antica quanto sconosciuta (almeno per il sottoscritto) che si sta tentando di tenere in vita. E c’erano pure i vignaioli del Taburno a parlare dei loro vini: Francesco Rillo (Cantine Tora) con la Falanghina 2010 e il Kissos 2008 (di cui già parlai qui) e Libero Rillo (Fontanavecchia) con il Vigna Cataratte 1998. Mancava, purtroppo, Domenico Pulcino (Torre dei Chiusi) ma non la sua Riserva Limiti 2001 (in formato magnum).

Cena slow con i vignaioli del Taburno a Villa Pastenella, Uploaded from the Photobucket iPhone App

S’è parlato, poi. Della falanghina e della versatilità a tavola dei vini che vi si ottengono; del pregio di un’uva che in molti ci invidiano per resistenza alle malattie, spiccata acidità e struttura mica da ridere ma nella quale si fa ancora fatica (forse) a credere. E poi dell’aglianico e delle sue grandi potenzialità d’invecchiamento, del suo essere scontroso e generoso, della sua grandezza “nella dimensione dell’attesa” (cit).

È stata anche l’occasione per rivedere vecchi amici e conoscerne di altri, magari già incrociati nel mondo virtuale dei socialcosi (cit); e per convincersi che proprio non si può perdere di vista un valore vero come quello della convivialità, dello stare insieme davanti a una buona tavola e a un buon bicchiere.

Tutte le foto, qui, sulla pagina facebook di Percorsi di vino.

Villa Pastenella
via Pastenelle – Tocco Caudio (BN)
cell. 335/7052120
info@ villapastenella.it

Il mio 2013: vini (e momenti) in carrellata

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Il 2014 è già qui da un pezzo e mi rendo conto, perciò, che la cosa potrebbe non destare più tanto interesse ma non posso fare a meno (purtroppo per voi) di dire qualcosina sul mio scoppiettante 2013.

E allora ecco la top e qualcosa dei miei assaggi, cioè i miei vini dell’anno. Non sono le etichette più buone in assoluto [certo erano bbone: se no mica le sceglievo, eh] 😉 ma sono, più semplicemente, quelle che ricorderò perché stappate nei momenti più importanti [davvero tanti, grazie a Dio] del mio 2013.

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Comincerei da marzo e subito con una doppio botto. Più o meno a metà mese ci siamo ritrovati a festeggiare la promessa di matrimonio con il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo* 2009 di Valentini, un vino di eccezionale espressività che a me è parso avere una doppia anima: da un lato la vivacità del frutto, dall’altro l’austerità della speziatura (di caffè, soprattutto). Bello assaje.

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A fine marzo, poi, è nato Antonio e ci voleva una bollicina. È toccato allo Champagne Première Cuvée Brut di Bruno Paillard: lo ricorderò perché eravamo felici e basta, al vino non c’ho pensato affatto [anche se -vi confesso- una sciabolata così netta non m’era mica mai capitata] 😉

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Una bollicina ci voleva pure a maggio, quando abbiamo battezzato Antonio. Per l’occasione ho tirato il collo al metodo classico da uve durella di Fongaro. Matteo è stato così gentile da regalarmi una magnum della Etichetta Viola [tra le mie preferite della casa di Roncà] con tanto di benvenuto personalizzato che ho, naturalmente, conservato. Ah, è piaciuta a tutti, ma proprio tutti.

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Maggio è stato il mese dell’Avellino: il 5, la promozione in B con la vittoria per 1 a 0 a Catanzaro, il 15 la (deludente) festa per il Centenario. Bisognava festeggiare e, allora, vai con un’altra bollicina! Sicuramente impegnativo il Crémant d’Alsace 2008 di Albert Mann (che ha fatto il suo egregiamente), un bel bere intorno ai 25 europei, se non ricordo male. Uvaggio di pinot nero (20%),  pinot bianco (50%) e auxerrois (30% ).

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A Giugno non credo di essermi mai alzato da tavola. 😀 I giorni più difficili sono stati quelli della prima quindicina con il compleanno di mio cognato e di mio padre in rapida successione, prima dell’epocale festa di Sant’Antonio con tutti gli Antonio-appunto- riuniti, a famiglie unificate. Ce la siamo cavata benone con il Colfòndo di Bele Casel che ormai chiunque tra genitori, suoceri, zii e cugini si presenti a casa mi chiede puntualmente “ma non è che hai un goccio di quel Prosecco”?!? 😉

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A luglio avremmo festeggiato anche il nostro matrimonio e io lo ricorderò per tante cose. Perché mi son fatto male al ginocchio tre giorni prima della cerimonia, per esempio. Vabbè, senza andare off topic rispetto agli argomenti di queste paginette vorrei dire che: [uno] il raviolo di burrata e erbette con scorzone estivo dell’Oasis di Vallesaccarda spacca(va). Spac-ca! [due] non si poteva che bere aglianico e fiano, no!? E allora vai con il Fiano di Avellino 2012 e l’Aglianico 2009 di Vadiaperti.

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Ad agosto s’è sposata pure mia sorella e abbiamo ovviamente brindato allegramente una volta di più. A tavola, la Falanghina del Sannio 2012 di Fontanavecchia è andata giù alla grande; una bella sorpresa l’Orazio 2005, vino poco chiacchierato, forse per via di quel saldo di cabernet sauvignon (?) che a mi me gusta proprio.

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Chiuderei con in Natale, il primo con Antonio: tre giorni di pranzi e cene a tutta forza. Ricorderò questo bellissimo Pedro Ximenex di Emilio Hidalgo: un vino dulce natural ricco, opulento ma anche bilanciato e armonico, con delle sfumature fantastiche di miele, dattero e caramello. L’ho stappato il 26 a pranzo e mi ha fatto fare un figurone! 😉

Visto che 2013!? 😀


Sempre a proposito di Falanghina del Sannio…

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[aggiornamento] A questo link, i 4 vini sanniti premiati: tutti bianchi da uve falanghina.

È di questi giorni la notizia di un altro importante riconoscimento per i vini del Sannio, quello assegnato dalla guida del Gambero Rosso, per il miglior rapporto qualità/prezzo, alla Falanghina del Sannio “Svelato” 2014 di Terre Stregate* (leggi qui e qui). Non a caso, credo, ché la Falanghina del Sannio è il vino che (forse) meglio rappresenta oggi il #Sannioshire.

Così la guida curata da Marco Sabellico, Gianni Fabrizio, Eleonora Guerini, nella motivazione del premio speciale: «[…] si avvia a diventare un classico non solo del territorio ma dell’enologia campana. Ha un colore paglierino verdolino brillante, naso intenso e ricco che richiama la rosa, il frutto giallo, le spezie e la vaniglia. Al palato è ampia, prorompente e chiude lunga, fresca e vitale su suggestioni agrumate».

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Bene ha fatto Libero Rillo, titolare di Fontanavecchia e presidente (dal giugno 2010) de Il Sannio Consorzio Tutela Vini, a sottolineare che «il premio vale doppio», essendo un riconoscimento anche per l’intera denominazione, oggi forte di una rinata considerazione sia da parte dei consumatori che della critica specializzata**.

Per la cronaca, sono 4 le aziende premiate con i 3 bicchieri nella guida 2016, ma non ho capito con quali vini esattamente (a parte Terre Stregate con la Falanghina del Sannio “Svelato” 2014). Conferme per Fontanavecchia La Guardiense, mentre la new-entry è Torre a Oriente.

* Dell’azienda di Guardia Sanframondi, ho assaggiato – proprio di recente – il vino premiato dal Gambero ed il Greco Sannio “Aurora” 2014: avevo preferito quest’ultimo, specialmente per le minori concessioni al dolce. Riproverò, ovviamente.

** Basti pensare che nelle ultime sei edizioni della guida del Gambero Rosso, in ben 3 (2010, 2011 e 2013) il Sannio era completamente assente nell’elenco dei vini premiati con i 3 bicchieri.

Il Vigna Cataratte di Fontanavecchia in verticale

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Libero Rillo non se lo ricorderà di certo, ma quella volta che improvvisammo un’orizzontale di alcune bottiglie “base” di Aglianico del Taburno millesimo 2001 riuscii a strappargli una promessa: degustare qualcuna delle vecchie annate dell’Aglianico del Taburno Riserva “Vigna Cataratte”.

Anche per questo, la verticale di 9 annate a cui ho partecipato sabato scorso a Fontanavecchia è stata una bella emozione. Confesso pure di esserne uscito sollevato, confortato dalla qualità degli assaggi. Una bella iniezione di fiducia, dopo qualche recente delusione con altri Aglianico del Taburno.

il “vigna cataratte”

Quello della Vigna Cataratte* è stato il primo impianto “a spalliera” dell’azienda fondata da Orazio Rillo. Era il 1991. Poco più di 8 mila metri quadrati di vigna, esposti ad est, su terreni argillosi con marne calcaree affioranti e poche sostanze organiche. La prima annata risale al 1994.

In cantina Angelo Pizzi, uno che mastica parecchio aglianico e falanghina. Per la vendemmia, in genere, si aspetta la fine di ottobre. Fermentazione in acciaio a 27/28 gradi, permanenza sulle bucce di 10/12 giorni, malolattica subito a seguire. La maturazione in legno dura tra i 14 e i 20 mesi; poi, circa un anno di affinamento in bottiglia. Ovviamente, come non ha mancato di sottolineare lo stesso Libero Rillo durante la degustazione, nel tempo sono intervenuti molti accorgimenti: «sull’aglianico le cose da imparare sono tante e veramente ancora non abbiamo finito».

La produzione annua è di circa 5/6 mila bottiglie. La 2009 è già pronta, ma sullo scaffale c’è ora la 2008. Il prezzo medio in enoteca è di circa 18/20 europei.

Fontanavecchia, Vigna Cataratte

come è andata la verticale

Vigna Cataratte 2008: al naso si distinguono eleganti profumi balsamici, di prugne e spezie nere. Il finale di bocca è amaro, il sorso deve ancora sciogliersi. C’è di buono che fa 15 gradi e mezzo ma non sembra affatto. Merito dell’acidità, uno dei motivi per cui è lecito ben sperare per il futuro.

Vigna Cataratte 2007: anche in un’annata così calda, per fortuna, non sono mancate le escursioni termiche. Sembra avere maggiore complessità, tra toni balsamici e sfumature agrumate. Il sorso ha buona persistenza ed una gradevole scia sapida che allunga il finale tipicamente amaricante.

Vigna Cataratte 2006: c’è un tocco di fumé. L’impatto è più verticale, nel complesso si gioca più sulle durezze. Manca (forse) un po’ di struttura a contrastare l’acidità ed è per questo – credo – che il tannino è più esuberante. Finisce appena prima del previsto, chiama a gran voce il cibo.

Vigna Cataratte 2005: il colore è più evoluto. Il naso, un po’ polveroso, profuma di spezie, frutta macerata e sotto spirito. Il tannino fascia e non poco. Chiude, lungo e amaricante, sulle sensazioni di liquirizia.

Vigna Cataratte 2001: cangiante, passa dai profumi balsamici, di terra, cacao e liquirizia alle note di frutta rossa che sembrerebbero suggerire una certa gioventù. Il tannino è ben risolto, ma il sorso ha ancora tanto da dire. Insomma, chi cerca qui le morbidezze dell’invecchiamento rimarrà “deluso”. Questo è un rosso per cui il capolinea è ancora lontano. L’unica bottiglia che mi rimane in cantina l’ho promessa alla mia sorellina, per i suoi 18 anni.

Vigna Cataratte 2000: profumi di maggiore evoluzione al naso, che odora di tartufo e frutta sotto spirito. C’è una nota laccata (pungente soprattutto all’inizio), ci sono la canfora e sentori animali. Mancano il cambio di passo della 2001 e quell’idea generale di giovinezza.

Vigna Cataratte 1999: che sorpresa! Sembra aver trovato un discreto equilibrio, soprattutto in bocca, dove l’acidità lavora bene e il tannino è ben levigato. Note ematiche, di china, alloro, caffè. Finale intenso, sulla frutta secca.

Vigna Cataratte 1998: non lo assaggiavo da diverso tempo, l’ultima volta era stato durante una cena con Slow Food a Villa Pastenella. Si conferma un quadro olfattivo tendenzialmente più sporchino e meno vivo, (penso) per via di una dose minore di acidità. Il risultato è che anche il tannino finisce per risultare più astringente. Curioso come lo stesso Libero abbia tentato, in passato, di ritirarne diverse bottiglie, poiché non proprio convinto dell’annata, salvo poi stupirsi della tenuta negli anni di questo vino. Va più in larghezza che in lunghezza, a differenza del precedente, rispetto al quale ha più di qualche analogia olfattiva, pur essendo certamente meno complesso.

Vigna Cataratte 1996: il vino del giorno. Parte su toni metallici e  rugginosi, note di sangue e sandalo, la china, un che di balsamico a tenere sempre viva l’attenzione, quindi il mallo di noce, profumi di prugna. Finale molto lungo, tannino rotondo e sorso di rinfrancante acidità.

Capito perché «the real magic of Aglianico appears to the patient» (cit)?

Azienda Agricola Fontanavecchia
via Fontanavecchia – Torrecuso (BN)
Tel. +39 0824 876275
info@fontanavecchia.info

* il vigneto è stato recentemente espiantato.

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I vini del Sannio nelle principali guide 2017

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La stagione delle guide, Anno del Signore 2017, non è ancora finita, perché mancano all’appello Bibenda di Fondazione Italiana Sommelier e Vitae di Associazione Italiana Sommelier. Ma io proprio non ce la facevo ad aspettare e, allora, ho messo sotto la lente d’ingrandimento i riconoscimenti attribuiti ai vini del Sannio da quelle che ritengo essere le 3 principali guide del settore.

Balza subito all’occhio un dato: i vini del Sannio premiati sono stati più bianchi che rossi. Soltanto L’Espresso ha incluso nei 100 vini da comprare 2 etichette di Aglianico del Taburno, entrambe per così dire “base”.

Torre dei Chiusi, Domenico Pulcino

Gambero Rosso

Ho già detto dei 4 soliti “tre bicchieri” assegnati dal Gambero Rosso. Curiosa ricorrenza del numero dei riconoscimenti, sin dall’edizione 2014, come se nel Sannio non possano essere premiati più (o anche meno) di 4 vini. Ad ogni modo, si tratta delle Falanghina del Sannio Biancuzita 2014 di Torre a Oriente, Janare 2015 de La Guardiense, Svelato 2015 di Terre Stregate e 2015 di Fontanavecchia.

Slow Wine

Sono di parte, avendo io fatto parte del panel di degustazione per Campania e Basilicata. Anche qui le etichette premiate con il riconoscimento di Vino Slow (lapsus, Vino Quotidiano) sono 4. Solo Falanghina del Sannio, di cui ben 3 con l’indicazione della sottozona* (Taburno, per le 2015 di Fontanavecchia e La Fortezza; Guardia Sanframondi, per la 2015 di Corte Normanna). L’ultima è la 2015 di Cautiero. Tralascio, ma solo per il momento, un interessante passaggio sull’Aglianico del Taburno, a cui non vanno riconoscimenti nemmeno tra Vini Slow e Grandi Vini.

L’Espresso

Nell’attesissima (prima) edizione dopo il tanto discusso campo editoriale, la Falanghina del Sannio 2015 di Cautiero si piazza al 65° posto nella classifica dei 100 vini da bere subito. L’unica altra Falanghina del Sannio premiata è la 2015 di Vigne Sannite**, che guadagna l’ultima piazza disponibile nella classifica dei 100 vini da comprare. La denominazione corretta per entrambe, comunque, è Falanghina del Sannio (e non Sannio DOC Falanghina, tipologia monovitigno che non è ammessa dal disciplinare).

Sempre nei 100 vini da comprare, trovano posto 2 etichette di Aglianico del Taburno, rispettivamente al 36° e 37° posto: i 2013 di Nifo Sarrapochiello e di Fattoria La Rivolta. Un po’ più in giù il Sannio Greco 2015 di Fontanavecchia (70°). Nessun sannita, invece, tra i 100 vini da conservare.

* le attuali “sottozone” sono le vecchie doc di un tempo.

** costa 5,80 euro in cantina, non so se mi spiego. 😉

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Le “mezzine” di vino: un sondaggio

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Come la maggior parte dei winelover, devo dire di non nutrire grande simpatia per le “mezzine“. Dopotutto, tralasciando ogni considerazione su quale sia il formato migliore per l’invecchiamento, ma limitandoci al mero consumo, quello ideale mi sembra pur sempre il “magnum” (la bottiglia di 1,5 litri), specialmente «quando si è in due e uno è astemio» (cit.). 😀

Ammetto di essere rimasto sorpreso dall’entusiasmo di alcuni produttori per la mezza bottiglia. Tanto per restare nel mio Sannio, per esempio, Mustilli giura di fare numeri tutt’altro che trascurabili con la Falanghina delSannio nel formato da 0,375 litri e ci sta (forse) che la tipologia si presti meglio di altre ad un consumo di questo genere.

Anche Fontanavecchia (una delle 195 chiocciole di Slow Wine 2018), altra azienda di riferimento dell’areale beneventano, imbottiglia la Falanghina del Sannio in demi-bouteille. Alcuni mesi fa Libero Rillo mi regalò persino una mini verticale di 3 annate (nella foto il 2011), con indicazioni decisamente sorprendenti quanto ad integrità e soddisfazione in generale.

Falanghina del Sannio 2011, Fontanavecchia

Wine Spectator ha lanciato da un paio di giorni un sondaggio sul tema (Hello, Half-Bottles). Detto che al ristorante difficilmente scelgo una bottiglia da 0,375 litri, specialmente se posso bere bene al bicchiere, mi sembrano comunque interessanti le prime due opzioni tra le 5 disponibili, e cioè “quando voglio provare più vini” oppure “quando bevo da solo oppure sono l’unico a bere“.

E voi, invece, che mi dite? Sono davvero curioso.

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La leggerezza di 16 gradi alcolici: il Grave Mora 2007, per esempio

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Tra gli equivoci più diffusi nell’enomondo, dalla parte di chi il vino lo beve soltanto, c’è sicuramente l’assunto secondo cui uno di 16 gradi sarebbe ineluttabilmente pesante e non, al contrario, uno con appena (si fa per dire) il 13% di titolo alcolometrico.

Aglianico del Taburno Riserva

Ci pensavo proprio ieri sera a cena, mentre bevevo l’Aglianico del Taburno Riserva “Grave Mora” 2007 di Fontanavecchia. Che è certamente un rosso potente e vigoroso, ma non soltanto. Per la cronaca, il millesimo in questione si avvia a maturità, sembra (forse) solo un po’ più avanti della sua effettiva età anagrafica, ma potrebbe essere tutta questione di annata.

È come se -semplificando- dovessimo metterci alla guida di due autovetture di grossa e uguale cilindrata: la differenza la fanno sempre e comunque i cavalli. E quelli del Grave Mora si chiamano acidità e sapidità, caratteristiche che da un lato rinfrancano la beva, dall’altro assicurano scatto e allungo, il cambio di passo dei cavalli (quelli animali) di razza.

Tant’è che alla fine ho fatto notare a mio suocero i 16 gradi stampati in controetichetta e lui mi ha risposto: «non si sentono affatto». Come volevasi dimostrare.

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Il Sannio Greco 2017 di Fontanavecchia

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Proprio qualche giorno fa suggerivo alcuni bianchi sanniti che varrebbe la pena provare, evitando di snobbare aprioristicamente tutto il greco che non sia quello di Tufo e dintorni.

Si trattava di qualche veloce e recente segnalazione, ma altre conferme sono arrivate dagli assaggi dei giorni scorsi. Segnatevi, per esempio, il Sannio DOP Greco 2017 di Fontanavecchia, un vino che non è soltanto buono, ma che, soprattutto, spiega bene perché possiamo parlare di questo come di un millesimo a dir poco singolare.

Sannio DOP Greco 2017, Fontanavecchia

Volendo riassumere, l’annata 2017 nel Sannio è stata caratterizzata dalle gelate del 18/22 aprile e, in estate, da forte siccità e roventi temperature. Quanto all’uva greco, che nel caso specifico arriva dalla zona di Guardia Sanframondi, Libero Rillo segnala un curioso scombussolamento dei tempi di raccolta per le uve bianche allevate nel beneventano: «in genere il greco è ancora in pianta quando si cominciano a vendemmiare le uve a bacca rossa. Quest’anno, invece, lo abbiamo raccolto molto prima (intorno alla metà di settembre, non a inizio ottobre, come di consueto), persino prima di alcune vigne di falanghina. L’acidità cominciava a scendere e allora ci siamo affrettati».

L’anticipo sui tempi di raccolta, appunto, ha permesso di preservare l’acidità (6,5 g/l), ma quello nel calice è un vino che non manca certo di struttura e ricchezza, pur avendo -particolare non da poco- un ridottissimo contenuto alcolico (aggiungo le restanti parole di Libero: «firmerei per avere sempre vini così!»).

Cioè, io non mi spavento nemmeno davanti a 16 gradi, eh! Ma ammetterete che leggere 12,5% in etichetta è cosa piuttosto rassicurante e tutt’altro che secondaria nella logica del consumatore di oggi. O no!?

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10 anni di blog

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M’è scappata quasi una lacrimuccia quando l’ho scoperto, proprio ieri: il 28 aprile del 2009 -sono una frana con le ricorrenze, menomale che c’è Facebook- nasceva Stralci di vite.

In questi anni son successe centomila cose, di vino nei calici ne è passato, ma per fortuna, tra alti e bassi, sono ancora qui (e quest’anno ho rilanciato con Falanghina Republic). Inizia oggi, dunque, la mia seconda decade di onorato blogging e mentre starete leggendo io avrò già orientato la bussola a Sud, direzione Vulture, altra nobile terra d’aglianico.

Stralci di vite spegne 10 candeline

Ho provato a spiegare ai miei due figli cosa è questo blog e non ci sono mica riuscito bene, sapete. Però mi hanno fatto questo disegno bellissimo, chissà che non ne faccia un quadretto. Alessia, invece, ora che c’è Emisfero Destro mi ha promesso un logo celebrativo –wow!– o una roba del genere, giusto per non dimenticare che questa storia è iniziata insieme 10 anni fa.

La vita, poi. Io ci credo al destino e sorrido ora che ripenso ai vini che ho bevuto in queste ultime ore, prima e dopo aver saputo che c’erano da spegnere le prime 10 candeline di Stralci di vite. Senza saperlo -figurarsi che lo ignoravo pure io- ho ricevuto dei regali bellissimi, nel segno del millesimo 2009 (tra l’altro pure abbastanza complicato, specie per i rossi).

Prima le due magnum di Orazio e l’Aglianico del Taburno Riserva “Vigna Cataratte” che Libero Rillo ha stappato per tutta la squadra Slow Wine in visita a Fontanavecchia: entrambe in ottima forma, soprattutto il primo, rosso a prevalenza aglianico, che si giova dell’apporto del cabernet sauvignon (40%).

Poi il Greco di Tufo “Cardenio” di Amarano. Salvatore Caretti, che me lo ha regalato, conosce bene la mia fissazione di conservare i bianchi, ma probabilmente non immaginava che il Greco di Tufo è il mio vino del cuore né che l’indomani avrei festeggiato il compleanno del blog. Poco o niente so dell’azienda che lo produce, se non che si trova a Montemarano (e, quindi, fuori dalla docg con capitale Tufo). Posso però dirvi che questo bianco è stato una sorpresa, innanzitutto per l’integrità: splendidamente dorato e perfettamente riconducibile alla tipologia, era ricco e strutturato, ma tonico e decisamente fresco.

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La Campania dei vini “rosa”, qualche suggerimento

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La Campania è innanzitutto terra di grandi bianchi, anche se sono in molti a scommettere che l’aglianico sarà “the next big thing”*. La domanda, però, sorge spontanea: ma vini rosa ne abbiamo?

La risposta è fortissimamente sì. Una piccola (e assolutamente non esaustiva) carrellata l’abbiamo fatta giusto qualche settimana fa, grazie alla condotta Slow Food Costiera Sorrentina e Capri, durante una deliziosa cena a Il Cellaio di don Gennaro a Vico Equense**. Franca Di Mauro, padrona di casa e ottima sommelier, ci ha accompagnato nell’assaggio di 4 diversi vini rosa made in Campania, prodotti da alcune delle aziende censite in Slow Wine 2020, e il risultato è stato piuttosto positivo , in termini di gradimento. Se mai ve ne fosse stato ancora bisogno, è parso evidente una volta di più che no, il vino rosa non è affatto donna.

Vini rosa della Campania

L’unica bollicina era il metodo classico Principe Lotario di Fontanavecchia (10 anni sui lieviti e sboccatura marzo 2019, dosaggio di 7 g/l), forse uno dei pochi da uve aglianico. Risolte le criticità in fatto di variabilità del colore e del dosaggio (la sboccatura era fatta a mano, nel vero senso della parola; la liqueur era aggiunta con una pipetta), lo spumante di Libero Rillo è quello che si dice una chicca. Provare per credere.

I restanti 3 vini erano tutti fermi, a partire dall’ottimo Lacryma Christi Rosato 2018 di Sorrentino, piedirosso con un piccolo saldo di aglianico, dal sorso sapido e corroborante. A presentarlo c’era Benny Sorrentino, l’enologa di casa, che nel pomeriggio, tra l’altro, mi aveva accompagnato per un lungo giro dei vigneti, con vista mozzafiato dalla vigna Lapillo.

C’erano poi due vini da aglianico assai diversi tra loro, e non soltanto per provenienza. Il Denazzano 2018 di Luigi Maffini, vino goloso, fresco, agile, scattante, perfetto per la tavola, e l’Aglianico del Taburno Rosato Marosa 2018 di Nifo Sarrapochiello, “vino quotidiano” per la nostra guida***, decisamente più strutturato, ma non meno bevibile. Complice l’andamento stagionale, comunque, il millesimo 2018 ha meno zuccheri residui e pure meno alcol rispetto al 2017, ed è perciò più godibile, facilmente spendibile sulla tavola.

* specialmente quelle “interpretazioni che ne esplorano una dimensione diversa da quella in voga negli anni Novanta“.

** chiocciola anche nell’edizione 2020 di Osterie d’Italia.

*** riconoscimento importante, quello assegnato all’azienda biologica di Lorenzo Nifo, tanto più se si considera che la tipologia “rosato” della Docg sannita stenta a decollare, forse anche per la mancanza di un’idea produttiva condivisa.

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Fontanavecchia, le nuove annate

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Sono tornato a Fontanavecchia poco prima del Natale: è stata l’occasione per assaggiare le nuove annate dell’azienda di Torrecuso.

La famiglia Rillo ha da poco affidato la consulenza enologica al toscano Emiliano Falsini. Nessun stravolgimento, certo, ma non mancano le novità.

Gli assaggi

La prima novità è un altro bianco, da sole uve coda di volpe. C’è grande rispetto della varietà di partenza, e dunque: pochi, semplici profumi al naso, bocca “operaia” nella migliore accezione del termine, per un vino che fa della capacità di stare a tavola un punto di forza.

La seconda innovazione riguarda la criomacerazione delle uve per tutti i bianchi di casa. A beneficiarne sembra essere stato soprattutto il Fiano, che regala profumi più ampi e di maggiore definizione. Se poi la selezione delle uve falanghina dai vigneti di Bonea e Foglianise si contraddistingue per una maggiore verticalità rispetto alla futura etichetta “d’entrata”, il Greco si conferma tra le più interessanti interpretazioni del vitigno in terra sannita.

Sul fronte dei rossi c’è da segnalare un deciso scatto in avanti per il Piedirosso, che resta un “vino della gioia”, ma è più complesso e profondo rispetto alle precedenti versioni. Quanto all’Aglianico*, le cose stanno così: si potrebbe tranquillamente andare in bottiglia già adesso, senza alcun passaggio in legno. Il che è tutto dire: ci sarà da divertirsi con le etichette di Aglianico del Taburno (non fa eccezione il rosato).

Fontanavecchia
via Fontanavecchia
82030 Torrecuso (BN)
T 0824 876275
M info@fontanavecchia.info

* c’è anche una sperimentazione che non contempla inoculo di lieviti.

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